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ALMOST PURE CD Stradivarius - Divertimento Ensemble

Dopo Almost Pure, la Stradivarius dedica a Marco Momi un altro cd, che svela ancora l’intensità drammatica, la cupa inquietudine che circola nella sua musica, ma anche l’evidenza pittorica, scultorea della sua scrittura strumentale, che si basa su una profonda ricerca timbrica e su nitide drammaturgie, sempre cariche di tensione. Almost quiver for E.P. (2011), che dà il titolo al cd e che fa parte del trittico Almost, è un lavoro per tre legni (che bisbigliano anche fonemi e suonano armoniche a bocca), tre archi, percussione e pianoforte, articolato in episodi distinti ma concatenati in un’arcata continua, basato su una fitta dialettica tra suono e silenzio, su una trama nervosa e fremente (quiver), piena di scatti, di ticchettii, di sonorità taglienti, di figure dissonanti, come ferite. Più estroversa e virtuosistica è la scrittura delle Iconiche (qui sono incise Iconica II del 2008, e la bellissima Iconica IV, del 2010, per sei strumenti ed elettronica), fatte di movimenti brevi, molto caratterizzati, concepiti come piccoli “ecosistemi sonori”, di strani amalgami timbrici, di textures frantumate, piene di so- norità aguzze, che usano gli strumenti come una tavolozza di colori. Una dimensione più intima, struggente, come di un corpo che palpita, emerge nella scrittura asciutta e nelle sonorità secche dei Tre nudi per pianoforte (2006), e nei rarefatti Due nudi (2013) per viola, dove i lunghi suoni tenuti, o quelli distorti con il polistirolo, sembrano evocare respiri e sussulti. Completano il cd un pezzo giovanile come Hox on Beckett (2003), e Lu- dica III (2012) dove lo straniante ordito di cinque strumenti, davvero poco giocoso, si intreccia con le voci di tre gruppi di bambini.

Gianluigi Mattietti (Classic Voice • January 2016)

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"Almost Quiver" è il secondo album ufficiale del giovane compositore perugino Marco Momi, dopo la prima e già piuttosto consistente raccolta di sue composizioni, racchiuse in "Almost Pure" (Stradivarius, 2013), ben accolta dalla critica specializzata.
Marco Momi è di sicuro uno dei compositori italiani più interessanti, validi e preparati della sua generazione (è nato nel 1978 e ha studiato all'Ircam di Parigi) e, insieme al romano Daniele Bravi, rappresenta il futuro musicale contemporaneo di questa nazione. Come Bravi, anche Momi è impegnato ad andare oltre a un già collaudato puntillismo musicale.

Nelle sue composizioni ricopre una fondamentale importanza l'intervallo tra le singole note. Si tratta in sostanza di minuscole gocce di suono apparentemente separate, ma complementari a un "unicum" sonoro di grande vivacità ed espressività interna. Il titolo "Almost Quiver" potrebbe sembrare ironico in questo contesto (il nome significa infatti "quasi vivace", quando la musica è invece quieta fino all'inimmaginabile), ma così non è, o meglio, è così solo a un primo ascolto distratto.

"Iconica II" (2008), in cinque movimenti e "Iconica IV" (2010) in sei movimenti, sono esemplari in tal senso. Ispirandosi alle celebri "Sequenza" di Luciano Berio, che esploravano le possibilità timbriche di vari strumenti, anche le serie di "Iconica" sfutta al massimo le caratteristiche dei suoni e i brevissimi silenzi tra le varie note, tanto da rendere irriconoscibili gli strumenti ad arco, un sassofono, un pianoforte preparato, le percussioni e suoni elettronici. 

"Due Nudi" (2013), per solo viola, è un brano persino più minimale e rarefatto, così come la sonata per solo pianoforte "Tre Nudi" (2006). La composizione giovanile "Hox On Beckett" (2003) contiene già in nuce tutta l'estetica di Momi, seppur non ancora pienamente sviluppata, mentre "Almost Quiver for E.P." (2011) si riallaccia alle varie "Iconica", esplorando più o meno le stesse tematiche. 
Il capolavoro è senz'altro "Ludica III" (2012), per trio d'archi, flauto, piano e voci di tre gruppi di bambini. Qui, il vociare dei bambini che giocano e parlano tra di loro si interseca con i cupi "continuum" dissonanti creati dagli archi e dal pianoforte, fino ad arrivare a un angoscioso finale. 
 
Sandro Gorli (tra l'altro, anch'egli valido compositore) dirige tutto l'organico strumentale con grande perizia e maestria. Di sicuro, uno dei dischi di musica contemporanea più importanti del 2015. Forse con Marco Momi abbiano trovato il vero erede di Franco Donatoni.

Leonardo di Maio (www.ondarock.it • 10 July 2015)
 

 

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Le finezze progettuali e sofisticate tecniche musicali s'impastano all'estatica bellezza e narratività degli affetti timbrici e dei disegni sonori.

Angelo Foletto (la Repubblica • 12 July 2015)


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Momi e il lessico parigino

Probabilmente qualcuno lo chiamerà Momì, perché il perugino classe '78 Marco Momi, già allievo di Ivan Fedele, si è perfezionato per 4 anni all'Ircam di Parigi (il centro per la nuova musica creato da Boulez), dove si sente eccome che ha assorbito quel vocabolario. E' un vocabolario ricchissimo di sonorità, ma che sarebbe di scarso interesse se non fosse messo al servizio di una sintassi fatta di attimi, gesti isolati, pochi aggettivi, niente punteggiatura, come mancasse il gusto dell'eloquio. In ciò consiste però l'originalità di questo compositore di poche parole ma "pesanti", che lasciano graffi nell'anima di chi ascolta questo "Almost Quiver" (Stradivarius) molto ben suonato dal Divertimento Ensemble.

Enrico Girardi (Corriere della Sera • 2 July 2015)

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ALMOST REQUIEM  ManiFeste 2014 Paris - IRCAM  Accroche Note



…Dans Almost Requiem du compositeur italien Marc Momi, elle a un tuyau fixé au bras et des percussions dans les mains pour participer au cérémonial étrange qu’instaure la musique, sorte de stèle funéraire pour voix et ensemble instrumental à la mémoire de Christophe Bertrand, dont le suicide en 2010 a profondément marqué le compositeur. Le discours très fragmentaire et les impacts sonores résonnants qui lacèrent le silence dans un temps étal maintiennent durant les seize minutes de la pièce une tension très émotionnelle, accrue par les interventions sporadiques de la voix révélant le texte litanique de Filippo Farinelli.



Michèle Tosi
 (ResMusica.com)


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DIVERTIMENTO ENSEMBLE - Rondò 2013 

Qualcosa di nuovo sul fronte occidentale. Il composer in residence Marco Momi nella stagione musicale di Rondò (2013)

Entrando nella prestigiosa sede del Sole 24 Ore di Via Monte Rosa, si scende progressivamente e, di scala in scala, si raggiunge un ottimo auditorium dove vanno in scena i concerti e gli incontri della stagione musicale Rondò, oramai arrivata alla decima edizione (gennaio-giugno 2013). Il nitore della sala è pari alla limpida attenzione di un pubblico scaltro ma anche curioso, ben disponibile a farsi sorprendere. Bisogna dare atto a Sandro Gorli che è riuscito ad allestire e nutrire d’impegno un luogo d’ascolto e dialogo tra compositori e pubblico, che rende Milano un significativo centro europeo della musica contemporanea.

Quest’ultima è in una fase contraddittoria; benché consapevole che alcuni steccati sono caduti e ricca di una quantità enorme di supporti per la composizione e il trattamento dei suoni, la musica classica-contemporanea fatica a trovare nuove concezioni musicali e a reperire un proprio ruolo necessario rispetto alle produzioni rock o jazz. Anche l’avanguardia sconta oramai una tradizione e l’impatto che essa ha avuto in passato, anche verso la musica popolare, ritagliandosi un ruolo anticipatore delle sonorità in voga, non sembra più un evento in grado di reiterarsi. Oggi le poche innovazioni hanno epicentri disseminati e spesso esterni al circuito della musica colta o istituzionalizzata. L’idea di una musica forse per pochi, ma che sapeva dettare linee di ricerca e resistere al tempo, e quindi alle mode del momento, è stata percepita vieppiù come un compito fin troppo oneroso da reggere. Una via di fuga da tale ruolo è la rinuncia stessa di reperire una forma musicale, abbandonandosi all’evento sonoro manipolato dal vivo, oppure, se la forma è reintrodotta, si mira a sconfinare in un progetto artistico inglobante, per esempio in un’istallazione.

La decima edizione del Rondò confida pervicacemente nei giovani compositori che possano trovare, ciascuno a proprio modo, una risoluzione della crisi all’interno di un dialogo serrato con le esperienze musicali del passato. Ciò avviene mettendo a confronto generazioni diverse, accostando capolavori di Ligeti, Crumb o Donatoni a pezzi recenti (se non in prima esecuzione) di giovani talenti, con in mezzo il vaglio di figure che hanno tentato di esemplificare nuovi percorsi, a cominciare dal compianto Fausto Romitelli. Non vi è niente di nuovo, se si vuole, nella ricetta, ma l’atteggiamento esecutivo e dialogico, e di conseguenza anche fruitivo, sottrae Rondò da un rituale allestito per una sparuta "riserva indiana" di ascoltatori. Si sta continuando a cercare, con fiducia.

Molto si potrebbe scrivere sul ricco programma delle serate, ma questa edizione è stata caratterizzata in particolare dall’ottima scelta del composer in residence, il perugino Marco Momi. In questa sede è inutile perdersi nella ricostruzione della sua formazione e delle committenze di prestigio che già vanta; conta ben di più sottolineare come le ricerche di Gorli e del Divertimento Ensemble hanno trovato realmente una figura d’eccezione, pronta a caratterizzare e rinvigorire la scena musicale dei prossimi anni. E ciò già a partire da ciò che Momi ha fin qui composto; soprattutto i cicli delle Iconiche (I-IV) e delle Ludiche (I-III) hanno esiti maturi e cristallini, esaltati dalla bravura degli esecutori del Divertimento.

L’impatto con la musica di Momi è sorprendente perché sembra pienamente trasudare del presente musicale, anche il più vario ed eterodosso, senza che però vi siano tracce di una strategica metabolizzazione o di una apertura alle "contaminazioni". Tutt’altro, è musica di severa distillazione, operata in un proprio isolato atelier, dove ricerca ed esperienza sono testate e convalidate reciprocamente. L’ascoltatore non è affatto impegnato a riconoscere dei gesti musicali di rottura, oppure delle sapienti citazioni; né è obbligato a osservare in modo distaccato un disegno musicale sopraffino, che dovrebbe trovare giustificazione nelle proprie, nascoste tecniche compositive. Se la musica di Momi è terapeutica per lo scenario attuale della musica è perché riesce ad essere estrem4amente passionale, se non drammatica, senza ricorrere a codici retorici abusati o a cornici concettuali estrinseche al suono.

Iconica II, scritta a trent’anni, è il capolavoro della prima fase di Momi; è un brano che pare mettere tra le mani dell’ascoltatore dei piccoli oggetti sonori, scaglie compositive aguzze nella testura quanto levigate dall’affetto. Iconica è la sintesi di appariscenza di questi oggetti, ridotti all’osso e denudati, portati allo scoperto, alla vulnerabilità del loro consistere. Il discorso musicale ha un incedere controllatissimo, implacabile nel suo saper rendere ogni nota successiva una resa dei conti con quella precedente; ma ogni volta pare che l’afflato di ogni nuovo intervento abbia il compito di rompere il ghiaccio. Così, Momi raggiunge una costruzione musicale personalissima e ossimorica, dato che la responsabilità di tenere il "timone" della navigazione sonora si unisce alla rinuncia dell’idea di uno sviluppo, di un percorso "esperto", a favore di una piena emersione del timore d’essere, di consistere. Se c’è una compiutezza nei risultati di questa musica è proprio nel far percepire all’ascoltatore quella distanza abissale, che costringe quasi all’equilibrismo, tra la concentrazione quasi maniacale in ogni fuoco sonoro e la leggerezza nell’attesa che esiti aspersi vengano raccolti in configurazione, al di là di ogni direzione discorsiva imposta. Vi è una drammaturgia indubbia nell’uso degli strumenti, che comunicano letteralmente tra loro attraverso dei tubi posticci; anche qui, da un lato, la composizione sembra tutta giocata sul dare a ogni timbro il proprio posto; dall’altro, tubi, megafoni e quant’altro vengono aggiunti per introdurre delle "tinte" eterogenee, acquerelli o acrilici.

La musica di Momi, nel suo polimaterismo timbrico, sembra talora una trama scomposta, ma non si affida mai a un disegno semplicemente oscurato o giocato su lacerti di materiali tradizionali. Non vi è alcuna anamorfosi musicale che richiede un ascolto ricostruttivo; piuttosto, eterogeneità e indeterminazione locale devono andare "a posto" e ricostruire un disegno compiuto in grado di accreditarsi all’ascolto come "autoctono" rispetto ai materiali indagati. Il carattere "incarnato" della ricerca del compositore perugino sta in questa rinuncia al discorso in proprio, a favore dell’ascolto delle sintassi possibili, delle suture tra strumenti, ma anche dei punti di cedimento. I suoni "scoperti" sono innanzitutto da intendersi come attori debuttanti in uno spazio che non ha reti di protezione predefinite. È ricerca di musica, non musica di ricerca, che ha la sua autenticità in una sorta di anonimo e inopinato concertare degli elementi sonori. Ovvio, che la sperimentazione di una consistenza musicale diviene tutt’uno con una tensione percettiva che, prima ancora di inseguire un dispiegamento motivato della sintassi, deve provare a dare del tu ai singoli oggetti sonori, i quali, proprio perché pericolanti o inconcludenti, palesano la necessità di oggetti limitrofi a sostegno. C’è fame di musica in mezzo alla musica stessa.

In questo quadro poietico, l’uso di supplementi agli strumenti tradizionali, la convocazione di modalità esecutive eterodosse, il ricorso all’elettronica non sono gesti d’avanguardia dal significato intransitivo, ma snodi per una co-crescita comune dei fili musicali che si sviluppano nel paesaggio sonoro del presente.

Lo strumento più intimamente legato alla ricerca di Momi è il pianoforte, come si era già ascoltato negli splendidi Tre nudi (2006) eseguiti da Maria Grazia Bellocchio nella scorsa edizione di Rondò; ma anche in brani di estensione maggiore e per ensemble, il pianoforte è la testa e la coda di ciò che avviene al centro della camera di ascolto. Si pensi a Iconica IV (2010), forse il brano di maggiore ambizione compositiva, per via della complessa amalgama tra strumenti ed elettronica, ma che vede nei momenti di maggiore rarefazione e di dialogo tra pianoforte e suono in tempo differito gli esiti più coinvolgenti e personali.

C’è una vena giocosa in Momi che funge da fondamentale controbilanciamento rispetto al carattere estremamente esigente della sua etica compositiva; è cruciale perché fornisce gli "alimenti" necessari a un rigore che finirebbe per negare ogni retorica o stilema abusato, ai limiti della paralisi o dell’afasia. La brillantezza d’ingegno e la freschezza sonora di brani come Ludica II (2009), per quattro strumenti ed elettronica, esemplificano un equilibrio produttivo che Momi ha saputo ritrovare non a caso in Ludica III, un brano per cinque strumenti, elettronica e tre gruppi di bambini. L’intelligente e temprante commissione del Divertimento Ensemble ha rimesso il compositore perugino alle prese con un campo di libertà da controllare, ritrovando una vena estroversa e in qualche modo più distaccata. Non solo, proprio quella capacità che Momi ha mostrato nel saper intercettare e amalgamare i contributi dei bambini, prospetta direzioni di ricerca in cui l’osmosi tra il proprio atelier e altri ambienti musicali potrebbe pienamente compiersi, senza il rischio di ennesime contaminazioni o salvacondotti tipici del crossover. L’elettronica, usata anche in Ludica III, pare una risorsa importante per tracciare ponti lì dove i materiali sono spuri e colti in un’estraneità di ambienti.

La ricerca di Momi appare quindi sospesa tra due linee di condotta; quella "permissivista" e pronta a giocare in terra straniera e quella più soggettivizzante e priva di indulgenze, innanzitutto verso se stessi. Naturalmente non c’è una condotta in assoluto migliore, ma contano gli esiti, soprattutto per chi ascolta. I Due nudi (2013) per viola, anche questi commissionati dal Divertimento Ensemble ed eseguiti da Maria Ronchini, peraltro con non straordinaria convinzione, sembrano interni a un momento di riflessione, se non di "dieta compositiva", in cui si cerca di reperire l’essenziale. La sottrazione è talmente spinta che rimangono solo atteggiamenti solipsistici, chiusure insistite su un unico suono, oppure appoggiature che disegnano, striscianti, delle curve, quasi a un passo dal solletico sonoro. Un solletico necessario forse per recuperare un dialogismo, dato che l’efficacia della stimolazione dipende dalla divisione delle istanze (non a caso l’esecutore si trova a utilizzare del polistirolo come medium interpositivo).

Solo un compositore può sapere quali sono i passaggi necessari attraverso i quali formare e rinnovare il proprio modus operandi. Ma è anche criticamente opportuno segnalare che il caso Momi non profila solo una direzione, o se si vuole una "vena" individuale; permette di intravedere un ambiente di lavoro compositivo nuovo e ancora aperto a molteplici direzioni da cui poter fare musica, senza la polvere delle avanguardie, ma anche senza kit preconfezionati. È evidente che l’opposizione tono / suono non può essere più lo spartiacque per situare in modo produttivo ricerche musicali antitetiche. Dopo Varèse, Xenakis, Nono, Scelsi, gli spettrali, ecc. l’acquisizione dell’esplorazione del suono è un dato acquisito, ma non è più, di per sé, un paradigma discontinuista in grado di mobilitare nuova musica. Occorre che questa nave verso un oriente musicale sia in grado di doppiare altri continenti, senza tornare al punto di partenza, magari con indulgenze restaurative. C’è qualcosa in Marco Momi che dà fiducia nella possibilità di nuovi approdi, di nuovi equilibri. La metafora del guardare dentro il suono così come il suo tracciarlo nello spazio hanno portato a una domesticazione. Servono nuovi sguardi d’attraversamento e una nuova implicazione nelle distanze: una tensione che ha fame dell’orizzonte.

Pierluigi Basso Fossali
(www.orfeonellarete.it)

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ICONICA IV, 56° Biennale Musica di Venezia, Ex Novo Ensemble - Alvise Vidolin

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Delle tante musiche incontrate, giusto un paio mi hanno colpito per qualche aspetto pregevole. La ricercata levigatezza sonora, adamantina e seducente messa in opera da Marco Momi in Iconica IV, una composizione del 2010 per trio d'archi, flauto, clarinetto, pianoforte preparato e live electronics.



Giordano Montecchi

(VeneziaMusica e dintorni - numero 49 Novembre-Dicembre 2012)

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ALMOST QUIVER FOR E.P., Fondazione Banna Spinola, Divertimento Ensemble - Andrea Pestalozza

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Marco Momi, a mio parere, è uno dei più notevoli compositori italiani dell'ultima generazione. Il discorso di Almost quiver for E.P. è contratto, essenziale, elabora originalmente il rapporto tra suono e silenzio, che ha ascendenze nelle avanguardie storiche viennesi. C'è una forte concentrazione intellettuale, una catafratta asciuttezza, tra vuoti e agglomerati taglienti.



Mario Messinis

(VeneziaMusica e dintorni - numero 47 Luglio-Agosto 2012)



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TRE NUDI, Rondò 2012, Divertimento Ensemble - Maria Grazia Bellocchio
 

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Una tale prospettiva ermeneutica, interna al programma, rende problematica allora anche la discesa verso i brani eseguiti dopo Cage. 
Infatti, Tre nudi (2006) di Marco Momi sembra decostruire il giocattolo, attraverso un erotismo forzoso applicato allo strumento (preparazione solo sui registri estremi) e una scrittura neo-puntillistica, aforistica, squisitamente controllata. Il brano non è un banale ritorno all’avanguardia di Darmstadt, né si risolve in una ricetta tesa a reperire una mistura di sapori (Stockhausen più Bussotti): piuttosto appare come un’originale cesellatura compiuta addosso al corpo del pianoforte. Momi sembra inseguire dei suoni di prossimità, aderenti allo strumento, scolpiti o comunque rifratti dalla "carne" del pianoforte. Il disegno non è indipendente dalla superficie di iscrizione, come in certo formalismo anni Cinquanta. I toni sono ambigui, sospesi tra inflessioni accorate (per via della prossimità, dell’intimità) ed accenti sarcastici, letteralmente capaci di lacerare l’involucro, per violare il meccanismo interno. Il fatto lodevole è che ogni sperimentazione sonora giunge a un esito chiaro, a una configurazione apprezzabile che è interna ai suoni prodotti e non a una figurazione astratta semplicemente sopravvissuta alla drammatizzazione dello strumento. Momi appare in questo senso uno dei più interessanti compositori italiani della nuova generazione, preservando una piena padronanza critica del Novecento musicale e attivando nel contempo un’esplorazione sonora che si lascia penetrare dalle ricerche, anche eterodosse, delle diverse musiche di confine (almeno, queste ci paiono essere se non le fonti, le affinità elettive del compositore perugino). I Tre nudi, come la serie Ludica, ascoltata altrove, lasciano ben sperare nell’affinamento di un equilibrio produttivo tra controllo e capacità di sconfinamento.

 

Pier Luigi Basso Fossali
 (orfeonellarete.it)


 

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ALMOST QUIVER FOR E.P., Fondazione Banna Spinola per l'Arte 2012, Divertimento Ensemble - Dir. Andrea Pestalozza


 

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Molto interessante poi «Almost Quiver for E.P.» di Marco Momi: contemplando la presenza di varie ed anche inconsuete percussioni (tra cui scatole di polistirene ‘suonate’ con l’arco, accanto a più prevedibili wood-block e vari altri aggeggi, affidati alle mani dell’espero Ben Omar), il brano di Momi, anch’esso in un unico movimento della durata di circa undici minuti, si è imposto all’attenzione per la bellezza, specie sotto il profilo timbrico, dei vari episodi saldati l’uno all’altro. Ecco allora barbagli di sonorità fosforescenti, asprezze, incandescenze frutto di una mano sicura e di una consumata perizia, tratti coloristicamente ‘puntillisti’, con una prevalenza di timbri puri, solo raramente agglutinati e per lo più in costante emersione. Pezzo di grande fascino, al cui interno la centralità del pianoforte è evidente, salutato da convinti applausi.



Attilio Piovano

(il Corriere Musicale • 23 May 2012)



 
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LUDICA II, Darmstadt - Orangerie, Ensemble Nikel

 


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Noch raffinierter ging Marco Momi in ,,Lucida II" vor: Kunstvoll benutzte er brummende Verstärkergeräusche und pfeifende Rückkopplungen als Bindeglieder zwischen den stark kontrastierenden Elementen. Wie ein versierter Surfer nutzte er die hoch- und her untergepegelten Klangwellen, um in mystisch anmutenden Übergängen gewagte Klangsphären zu erreichen....



Silvia Adler

(Echo|online • 27 July 2010)

 

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LUDICA II, Teatro Central Sevilla, Taller Sonoro
 

…Interesantísimo final de ciclo el que ofrecieron los sevillanos de Taller Sonoro, con la guitarra eléctrica como principal protagonista y cinco propuestas eclécticas y personales. Especialmente destacadas me parecieron las de Momi y Czernowin, la primera, que de un arranque discreto salta a un tratamiento efervescente y brillantísimo del material; la segunda, de una agresividad enérgica y alucinada...



Pablo J. Vaiòn

(diariodesevilla • 24 May 2012)




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ICONICA II, Darmstadt 2008

 …he is a composer who is exploring a genuinely new field by attempting, among other things, to create music from the movement that produces it in the first place. Marco Momi certainly made a contribution to beauty in New Music with a highly differentiated and well-crafted piece, but also expanded this area by counterbalancing subtle, carefully chosen sounds with cruder ones...



Niklas Seidl

(Search - Jornal for New Music and Culture • August 2008)

 

 


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